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Il Decreto legge 24 gennaio 2012 “Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività”, meglio noto come “decreto liberalizzazioni”, pubblicato in questi giorni sulla Gazzetta Ufficiale, all’articolo 16 (“Sviluppo di risorse energetiche e minerarie nazionali strategiche”) richiama una recente norma UNI: un esempio di compiuta sinergia tra legislazione e normazione tecnica.
Si tratta della UNI 11366 “Sicurezza e tutela della salute nelle attività subacquee ed iperbariche professionali al servizio dell’industria - Procedure operative”, la norma nazionale che dal 2010 (vedi articolo >>) definisce i criteri e le modalità (in particolare per quanto attiene la sicurezza antinfortunistica) per l’esecuzione di queste particolari attività che nel nostro Paese contano su una solida tradizione e che ad oggi coinvolgono direttamente oltre 350 aziende, sia a conduzione familiare che di dimensione industriale: un panorama articolato che da tempo chiedeva oltre che requisiti univoci di sicurezza, anche una omogeneità in termini di procedure, tecniche e qualificazione delle professionalità.
Tra leggi e norme tecniche esiste un rapporto stretto, articolato e anche dialettico. Se infatti la normazione viene spesso chiamata a supporto della legislazione, per definire nel dettaglio requisiti, condizioni e procedure tecniche a garanzia di una puntuale applicazione dei principi cogenti, le norme possono anche svolgere un ruolo pienamente proattivo, andando a colmare eventuali vuoti legislativi e intervenendo quindi in ambiti che necessitano di qualche forma di auto-regolamentazione.
Il sopra citato articolo 16, al punto 2, stabilisce che le attività “di cui all’articolo 53 del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1979, n. 886, sono svolte secondo le norme vigenti, le regole di buona tecnica di cui alla norma UNI 11366”. Un riferimento che conferisce dunque alla norma un valore cogente.
Il richiamo al DPR n. 886 del 1979 è d’obbligo: l’articolo 53 riguarda infatti le prescrizioni generali sull’impiego di operatori subacquei, cioè “le prestazioni lavorative in immersione per il posizionamento della piattaforma, per l’ispezione e la manutenzione delle attrezzature sommerse o per lavori assimilabili”. Sempre l’articolo 53 stabilisce che queste attività “devono essere effettuate solo da personale esperto e fisicamente idoneo, diretto da un responsabile di comprovata capacità, nel rispetto delle norme specifiche in materia e delle regole della buona tecnica”.
Questo chiama appunto in causa la norma UNI 11366, frutto di quattro anni di lavoro e di intenso dibattito fra i vari soggetti interessati, sia sul versante degli utilizzatori (aziende e operatori del settore) che su quello istituzionale (soggetti ministeriali, enti previdenziali, istituti di ricerca, università, organismi associativi).
La norma nazionale, che ha visto la luce nel giugno del 2010, è andata a colmare una lacuna che vedeva l’Italia in ritardo rispetto agli altri Paesi europei.
Il richiamo alla UNI 11366 nel provvedimento appena varato definisce ora più chiaramente un quadro nazionale sia legislativo che normativo in grado di promuovere attività subacquee professionali all’insegna dei massimi standard di sicurezza per tutti gli operatori del settore.
E' bene ricordare a questo proposito che i lavori della norma UNI 11366, svolti in seno alla Commissione tecnica “Sicurezza” e in particolare del Gruppo di Lavoro "Sicurezza nelle attività subacquee ed iperbariche industriali", si sono basati sulle Procedure Operative realizzate da AISI (Associazione Imprese Subacquee Italiane), procedure che a loro volta trovano nelle linee guida emanate in tutto il mondo da IMCA (International Marine Contractors Association) il loro naturale punto di riferimento.