Articoli | 10 Settembre 2025

Sostenibilità digitale: ecco la nuova edizione della UNI/PdR 147

Semplificazione e omogeneità per il documento che definisce i requisiti e gli indicatori di prestazione dei processi di innovazione.

Stefano Epifani
Intervista a:

Stefano Epifani (Fondazione per la Sostenibilità Digitale)

Project Leader UNI/PdR 147

Dopo un attento – e proficuo – lavoro da parte del Tavolo “Sostenibilità digitale”, ecco finalmente l’attesa pubblicazione della nuova edizione della UNI/PdR 147.
UNI/PdR 147:2025 CoverIl documento, come è noto, definisce i requisiti e gli indicatori di prestazione (KPI, Key Performance Indicator) che i progetti di trasformazione digitale devono avere per essere in linea con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.

A soli due anni dalla pubblicazione della prima edizione della Prassi di Riferimento, questo aggiornamento risponde a bisogni e aspettative maturati, sotto molti e rilevanti punti di vista, in seno alle organizzazioni che in questo tempo hanno accumulato una preziosa esperienza.
Un documento migliorato, dunque, sia in termini di coerenza interna che di usabilità.
Per chiarirne e approfondirne logiche, obiettivi e contenuti, abbiamo intervistato Stefano Epifani, Presidente della Fondazione per la Sostenibilità Digitale nonché Project Leader della UNI/PdR 147.

Perché si è resa necessaria la revisione della UNI/PdR 147?

“La prima versione della UNI/PdR 147 è del 2023. Dopo due anni di utilizzo sul campo è emersa una cosa molto semplice: serviva farla ‘funzionare meglio’ per chi la usa davvero nei progetti. Le organizzazioni ci hanno chiesto soprattutto semplificazione e omogeneità. Per questo la revisione 2025 introduce una metrica unica a cinque livelli, ispirata ai livelli di maturità del Capability Maturity Model: la stessa scala per tutti i KPI, così la misurazione diventa comparabile nel tempo e tra progetti.

C’è poi stato un ‘tagliando’ ai contenuti: sono stati eliminati i KPI difficili da applicare, riclassificati quelli esistenti e, soprattutto, sono stati rafforzati gli aspetti che più mancavano nella pratica quotidiana, cioè gli impatti organizzativi, i KPI di processo e quelli di procurement (con una tassonomia chiara: KPI di processo, di procurement e di progetto).

L’idea è spostare il focus dalla sola tecnologia, alla governance dei processi di trasformazione, dove si gioca davvero la sostenibilità.

Un’altra richiesta forte veniva dai team che preparano bilanci e disclosure (comunicazione, n.d.r.): serviva allineare il framework con ciò che le imprese già rendicontano. Ecco perché la revisione inserisce un principio di disclosure chiaro (risultati comunicati in modo trasparente, verificabile e accessibile) e connette la prassi a reportistica ESG ed ESRS, così come ai criteri tecnici ambientali della EU Taxonomy. Questo passaggio non è ‘burocrazia’: significa parlare la lingua di investitori e finanziatori, facilitare l’accesso a capitali green e dimostrare coerenza con il Green Deal.

Infine, è stato introdotto un tassello che il mercato chiedeva: specifiche per la certificazione – sia delle organizzazioni sia degli esperti – per dare garanzie di competenza e di conformità. In sintesi, la revisione nasce dall’esperienza: misura meglio, è più usabile, più integrata con le prassi ESG e più utile a prendere decisioni d’investimento consapevoli.”

Che cosa intendiamo, davvero, con “sostenibilità digitale”?

“È una parola che rischia di essere usata troppo e capita poco. La sostenibilità digitale ha un doppio ruolo. Da un lato il digitale è uno strumento per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile: pensiamo a piattaforme che riducono sprechi energetici, sistemi predittivi che ottimizzano logistica e mobilità, servizi online inclusivi che ampliano l’accesso a istruzione e sanità. Dall’altro lato il digitale è un oggetto su cui applicare criteri di sostenibilità: data center efficienti e alimentati da rinnovabili, device riparabili e riciclabili, software progettato per essere sobrio nelle risorse, algoritmi equi e trasparenti.

Questa visione supera l’idea riduttiva del ‘green IT’. Parliamo di ambiente, certo (energia, materiali, ciclo di vita), ma anche di aspetti sociali (accessibilità, parità di genere nei team, inclusione delle persone con disabilità, prevenzione di bias negli algoritmi) ed economici (lavoro dignitoso nelle filiere digitali, tariffe eque nel procurement, resilienza delle infrastrutture).

In pratica: non basta che un cloud consumi meno; deve anche essere sicuro, resiliente, accessibile, costruito e gestito in filiera responsabile.

È qui che il digitale smette di essere neutrale negli impatti e diventa parte della soluzione, non del problema.”

In che modo la UNI/PdR 147 dialoga con gli SDG dell’Agenda 2030?

“La forza della UNI/PdR 147 sta nel rendere misurabile il legame tra trasformazione digitale e SDG. La prassi seleziona 11 dei 17 obiettivi dell’Agenda 2030 e, per ciascuno, definisce target e KPI distribuiti lungo il ciclo di vita del progetto (avvio, pianificazione, esecuzione, monitoraggio/controllo, chiusura). Il risultato per chi governa i programmi è duplice: una checklist operativa per impostare bene i progetti e una metrica tracciabile per dimostrarne i risultati.
17 Obiettivi Sviluppo Sostenibile ONUQualche esempio concreto aiuta:

  • SDG 5 – Parità di genere: KPI su presenza femminile nei ruoli di responsabilità di progetto e parità salariale; riferimento operativo alla UNI/PdR 125 sul sistema di gestione per la parità di genere. La sostenibilità digitale è anche diversità nei team che progettano i servizi.
  • SDG 7 – Energia pulita e accessibile: KPI su progettazione dei data center ed efficienza energetica dei dispositivi, con metriche riconosciute come PUE, WUE, CUE della ISO/IEC 30134 e schemi come Energy Star o TCO. Qui la sostenibilità non è uno slogan: si misura.
  • SDG 9 – Imprese, innovazione e infrastrutture: KPI su sicurezza applicativa (p.es. riferimento OWASP Top 10), architetture misurabili e migliorabili by design, e test sistematici sul codice; l’efficienza del software è anche sostenibilità (meno risorse, più resilienza).
  • SDG 12 – Consumo e produzione responsabili: KPI su 5R (riduzione, riuso, riciclo, raccolta, recupero) per infrastrutture IT, materie prime riciclate in supply chain, riparabilità dei prodotti, con richiami a norme come UNI CEI EN 45556 e ISO 14021. Qui si porta l’economia circolare dentro al digitale.
  • SDG 13 – Lotta al cambiamento climatico: KPI su uso efficiente dell’acqua (p.es. WUE per il raffreddamento dei data center) e su materiali da filiere certificate; è il ponte con i requisiti DNSH del Green Deal e, nella revisione, con la EU Taxonomy.

Tutti questi KPI, raccolti, generano una lettura sintetica (p.es. tramite grafico radar) della sostenibilità del progetto e — novità importante della revisione — si innestano nelle pratiche di disclosure ESG dell’impresa. È un modo per far vedere, con numeri e standard, che i progetti digitali contribuiscono davvero agli SDG.”

A che punto sono le aziende italiane su consapevolezza e gestione dei progetti di trasformazione digitale?

“L’Italia si muove a velocità diverse. C’è una consapevolezza crescente, ma spesso ancora asimmetrica: molte imprese associano la sostenibilità digitale al solo taglio dei consumi energetici o alla migrazione in cloud, mentre faticano a incorporare in modo sistematico le dimensioni sociali e organizzative (accessibilità, competenze, etica dei dati, parità).

Laddove ci sono competenze e governance chiare, la trasformazione digitale diventa motore di valore; dove mancano, resta una somma di progetti tecnologici.

Due dati aiutano a capire il quadro. Il primo, sul fronte della cultura: dalle analisi della Fondazione per la Sostenibilità Digitale emerge che la comprensione profonda dei nessi tra digitale e sostenibilità non è ancora maggioritaria; il tema ambientale domina il dibattito, mentre quello economico-sociale è meno interiorizzato. Questo si riflette nelle priorità di progetto e nella rendicontazione.
Il secondo dato riguarda il fronte della pratica: quando scendiamo nei settori, vediamo differenze marcate per dimensione e territorio. Nel primario, ad esempio, il 7° Censimento dell’Agricoltura (ISTAT) mostra che le aziende più grandi adottano in misura molto maggiore attrezzature e processi digitali rispetto alle piccole; nel triennio recente solo una quota minoritaria ha investito in innovazione strutturale, con una concentrazione più alta nel Nord. È un pattern che ritroviamo anche in altri comparti: grandi player e settori regolati corrono, PMI e filiere lunghe faticano di più.

Per questo una prassi come la UNI/PdR 147 può fare la differenza: offre criteri concreti, comparabili e certificabili per portare la sostenibilità dentro ai progetti di trasformazione — dalla RFP al collaudo, dal procurement alla reportistica —, aiutando le imprese a passare dalla ‘buona intenzione’ alla gestione per KPI, parlando la lingua di CIO, ESG manager e CFO.

In altre parole: permette di governare la trasformazione digitale, non solo di subirla, e di dimostrarne gli impatti con numeri e standard riconosciuti.”


La Prassi di Riferimento UNI/PdR 147:2025 è liberamente scaricabile dal nostro Catalogo, previa registrazione.

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